L’offerta di swap è stata un successo. Atene è fuori dai guai? Non esattamente. Certo, la “montagna” di debito greco è stata significativamente ridotta e la spada di
Damocle dei rimborsi in scadenza è scomparsa. Tanto più che il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF) verserà 54,5 miliardi di euro nel bilancio greco. Per un po’ si potrebbe pensare di dormire sonni tranquilli…Ma solo per un po’. Perché il deficit pubblico greco non verrà riassorbito, come per magia.
All’indomani del successo, si moltiplicano le reazioni positive. Il capo dell’Institute of International Finance (IFF), Charles Dallara, che rappresenta le più grandi banche del mondo, ha accolto con favore l’elevato tasso di adesione dei creditori privati, affermando che si tratta della “ristrutturazione del debito più grande mai intrapresa”. E’ “un grande successo” che consente di raggiungere “tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati”, “su base volontaria”, ha detto il ministro delle Finanze Baroin.
Circa 107 miliardi di dollari sui complessivi 206 miliardi di euro di debito greco detenuti da banche, assicurazioni, fondi di investimento e fondi pensione saranno cancellati. Mai un paese ha beneficiato di una riduzione del debito tanto importante, nemmeno l’Argentina nel 2002 – che però aveva imposto uno swap ai creditori facendo default su 73 miliardi di euro di debito – .
Come avverrà esattamente questa eliminazione? Attraverso uno scambio di obbligazioni. Ogni creditore, portando 1000 euro di debito allo scambio, riceverà qual contropartita 20 nuovi titoli greci, con un valore nominale complessivo di 315 euro, aventi scadenza compresa tra 11 e 30 anni, e recanti una cedola media del 3,8% in più rispetto al altri titoli del Fondo europeo di stabilità finanziaria. Lo scambio dovrà avvenire Lunedì 12 marzo per le obbligazioni di diritto greco, che rappresentano la quota più importante di ciò che il paese dovrebbe (ma un ritardo fino al 23 marzo è stato concesso ai titolari di diritto internazionale per presentare la loro risposta alla proposta).
Lo swap si traduce in una perdita di oltre il 70% per i creditori privati che rinunicano al 53,5% del capitale prestato alla Grecia e abbandonano una parte degli interessi dovuti loro. Un altro punto positivo: l’accordo consente di trasferire gran parte del debito privato a strutture statali (oltre all’EFSF, i nuovi proprietari saranno in effetti l’FMI, la BCE e gli Stati europei). Questo scongiura un rischio di default a breve termine. La Grecia, che non aveva i mezzi per rimborsare i 14,4 miliardi di euro in scadenza il 20 marzo, riceverà un aiuto europeo pari a ulteriori 130 miliardi di euro.
L’Europa ha guadagnato tempo. Ma l’accordo non risolve tutti i problemi. Lungi da ciò. Un aspetto, ad esempio, non è ancora risolto: i contratti di assicurazione contro il default, i famosi CDS. L’84% è un buon traguardo, ma ancora non è abbastanza. Cautamente, il governo greco si è quindi riservato il diritto di imporre lo scambio di debito ai creditori recalcitranti. Come? Innescando clausole di azione collettiva (CAC) attaccate alle obbligazioni da scambiare. Se questa decisione sarà convalidata – deve infatti essere esaminata congiuntamente da Atene con i suoi partner della zona euro in una conference call prevista per Venerdì alle 1300 GMT – il piano di scambio sarà imposto, in modo da innalzare il tasso di partecipazione a oltre il 95%. Il problema?
Così facendo, si esce dall’ambito della volontarietà, ed i creditori, costretti a partecipare, potranno chiedere di attivare il pagamento dei CDS. Nessuno sa quale impatto questa decisione potrebbe avere sul sistema finanziario.
L’obiettivo dichiarato della ristrutturazione del debito e del piano di aiuti che l’accompagna è teoricamente quello di ridurre l’indebitamento del paese, pari al 160% del PIL, portandolo al 120,5% nel 2020. Ma questa ipotesi non convince una fetta consistente del mondo finanziario. E anche supponendo che tale scopo possa essere raggiunto, non risolve alcuni problemi fondamentali.
La Grecia di oggi non è competitiva, non riesce a riscuotere le tasse e, soprattutto, non ha industria. Si renderebbero necessarie riforme strutturali per uscire dalla stagnazione (o meglio recessione). Ma queste riforme richiedono tempo. E la priorità è quella di ridurre il debito. In due anni, la Grecia ha ridotto il suo disavanzo primario (cioè al netto degli interessi del debito) dal 10% del PIL al 2,5% del PIL. Uno sforzo mostruoso. Il governo ha annunciato (e attuato) severe misure di austerità negli ultimi mesi, alimentando un malcontento diffuso e spingendo il popolo greco sulle strade, per protestare. Dato lo stato fatiscente della sua economia, per la Grecia potrebbe essere necessario un terzo piano di aiuti internazionali da 50 miliardi di euro nel 2015.
Inoltre, nel breve termine, la questione politica sarà cruciale. Gli europei vorrebbero rinviare le elezioni parlamentari, previste per il prossimo aprile. Gli ultimi sondaggi, in effetti, sollevano una certa inquietudine: i tre partiti alla sinistra del PASOK socialdemocratico, totalizzerebbero il 39% dei voti, tanto quanto i due maggiori partiti, Nuova Democrazia e Pasok. Con una estrema sinistra così forte, il rischio di mettere in discussione la tabella di marcia è elevato. E’ difficile accettare il mantenimento di un tale avanzo primario senza voler aumentare la spesa pubblica. Una pericolosa esplosione sociale non sarebbe meno preoccupante di un deafult disordinato.
In conclusione,il successo di questa offerta di scambio a breve termine,non è che un debole segnale, solo l’inizio della fine della crisi europea.