Ha ragione il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso quando dice che il G20 di Seul è “una prova di credibilità”. Però se ci fermassimo al primo giorno di incontri potremmo dire che i leader dei paesi industrializzati ed emergenti non si meritano la fiducia dei loro cittadini. Infatti, una linea comune sembra lontana in particolare riguardo la “guerra valutaria” con i cinesi in pesante disaccordo rispetto agli altri paesi in merito alla bozza del comunicato finale dal tono troppo aggressivo nei confronti di coloro che utilizzano le svalutazioni competitive. (Su questo punto, in realtà, andrebbe precisato che la mossa della Fed di iniettare 600 miliardi nell’economia non è altro che un metodo artificioso per svalutare il dollaro: nulla di diverso da quanto ha fatto la Cina.) Ciò detto pare più vicino il raggiungimento di una linea comune in merito alla riduzione degli squilibri commerciali, con l’indicazione di un tetto per il surplus al 4 per cento. Ma su questo si sta cercando un accordo oggi visto che la Cina fino a tre settimane fa sembrava disponibile ad accettare la proposta arrivata dagli Usa. Quello che emerge dal G20 di Seul – forse l’unica vera notizia – è un nuovo asse mondiale, un G3 tra Stati Uniti, Cina e Germania (non Europa: Germania; è bene precisarlo). Visto che i rispettivi capi di stato (Obama, Hu, Merkel) si sono incontrati in separata sede per cercare un accordo proprio sul commercio. Al momento, scrive l’Herald Tribune, la trattativa non ha avuto seguito. Secondo altri osservatori, come Marco Zatterin (corrispondente da Bruxelles per la Stampa), non saremmo di fronte a un nuove G3 ma a un G2 tra Cina e Germania. La Germania, infatti, cresce. Cresce eccome. A confronto con gli altri paesi d’Europa è un razzo, non una locomotiva. E forse i cinesi preferiscono discutere con un’economia forte piuttosto che con una in sostanziale declino come quella americana. Vedremo.