Il Paese si è confermato negli ultimi giorni una vera e propria “mina vagante”. Il fallimento di Bankia e la sua nazionalizzazione si sono concluse con un monito direttamente dal Governo: “non più un euro per Bankia”.
A peggiorare la situazione già estremamente difficile dell’istituto di credito (sfuggito, per qualche strana ragione, al controllo delle agenzie di rating che invece sembrano tanto prevenute sul settore) arrivano le dirette conseguenze del crollo; oltre un miliardo sono gli euro prelevati dai correntisti, ed ora dopo il fallimento potrebbe arrivare il collasso definitivo.
Il Governo ora possiede il 45% dell’istituto ma questo non è bastato a diffondere un minimo di sicurezza tra i clienti; lo Stato stesso sarebbe a rischio secondo la stampa internazionale e mentre in Grecia si aspetta l’eventuale uscita dall’area Euro (sempre più probabile secondo una parte di analisti) l’attenzione della comunità Europea si sposta in Spagna ed in Portogallo, dove potrebbe essere necessario un piano di aiuti specifico a sostegno del settore bancario.
I downgrade in Italia, alla luce degli eventi internazionali, sono ancora più inspiegabili; per quanto il Bel Paese sia a rischio (cioè molto poco) la situazione bancaria generale è ben distante da quella di altri Paesi come appunto la Spagna, completamente trascurato dalle agenzie di rating internazionali. Ancora una volta l’Italia prende le distanze e prosegue per una strada personale, contro i downgrade e distante dalla Spagna, la cui situazione richiederà interventi estremamente mirati.
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Entro la fine dell’ottava corrente è probabile che si giungerà finalmente al dunque sulla situazione attuale e si capirà sia se Atene resterà nell’Euro e sia se la Spagna avrà necessità di aiuti (e se questi basteranno a risollevare le sorti). Per il momento il mercato azionario sta sulla difensiva ed indietreggia fino ai livelli di minimo del 2009.
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