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Petrolio record: fiammata del WTI

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 Record storico per il prezzo del petrolio. Questo nuovo picco potrebbe presto avere un impatto alla pompa, e dunque ripercussioni sui prezzi del carburante. In ultima analisi potrebbero esserci nuovi rincari per diesel e benzina. Le tensioni con l’Iran e la debolezza dell’euro spiegano questa inflazione.

Il prezzo del petrolio ha toccato Venerdì a New York il livello più alto in nove mesi: il barile di “light sweet crude” (WTI) con consegna marzo è aumentato di 93 centesimi rispetto a Giovedì, portandosi a 103.24 dollari sul New York Mercantile Exchange (Nymex). A Londra, un barile di Brent del Mare del Nord con consegna ad aprile ha toccato quota 119.58 dollari, cedendo 53 centesimi dalla chiusura del Giovedì. Il prezzo del greggio è balzato fino a 120,70 dollari, prima di cancellare i guadagni.

Tuttavia, per un prezzo espresso in dollari, il record assoluto è quello del 2008- 143,15 contro i 120,35 dollari dall’inizio dell’anno. Ma nel frattempo, il biglietto verde si è rafforzato nei confronti della moneta unica. Nell’estate del 2008, un euro era scambiato a 1,56 dollari contro 1,30 dollari in questi giorni.

“Il morale del mercato è stato sostenuto dalla Grecia. Durante la sessione, abbiamo seguito gli sviluppi (in questo paese) e i progressi verso un accordo”, ha detto Matt Smith, di Energy Summit (gruppo Schneider Electric). All’origine dell’ottimismo degli investitori vi è la conferma che la Banca centrale europea (BCE) è in procinto di scambiare i propri titoli greci in portafoglio con nuove obbligazioni , per premunirsi contro eventuali perdite. Inoltre, Lunedì l’incontro dei ministri delle finanze della zona euro dovrebbe finalmente permettere di sbloccare un secondo piano di aiuti di vitale importanza per la Grecia. Il leader italiano Mario Monti, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il Primo ministro greco Lucas Papademos hanno espresso fiducia nella possibilità di raggiungere un accordo.

Questo scenario ha aiutato il petrolio a salire, quando i prezzi erano già alti per ragioni geopolitiche. In primo luogo, ovviamente, la situazione di stallo tra l’Occidente e l’Iran, ma anche uno sciopero nello Yemen e la violenza in Siria (ormai destinata a spingersi oltre i suoi confini), per non parlare dell’esplosione di un oleodotto a Homs, città ribelle nel cuore del Paese.

Il motivo principale dell’impennata del greggio è dunque da rintracciare nelle tensioni con l’Iran e nel rischio di una guerra con Israele. Dall’inizio di febbraio, il petrolio è cresciuto di 10 dollari. La minaccia da parte di Teheran di chiudere lo Stretto di Hormuz quale risposta a un possibile embargo è presa molto sul serio dai mercati. Il transito in questa zona è pari a 15 milioni di barili al giorno, quasi dieci volte il consumo della Francia. In termini di commercio di petrolio, ogni blocco nella zona, anche il meno rilevante, acquista immediatamente notevoli proporzioni.

Se cominceranno a giungere informazioni positive dall’Iran, la tensione potrebbe allentarsi e l’attenzione tornerebbe a concentrarsi sulla domanda nei paesi europei e da qui verso gli Stati Uniti. Cosa che dovrebbe ridurre i prezzi dell’oro nero.

Le nuove richieste dei sussidi di disoccupazione la scorsa settimana hanno raggiunto il livello più basso dal marzo 2008, riflettendo la ripresa economica del più grande consumatore di greggio. Inoltre, l’aumento dell’inflazione negli stati Uniti aveva spinto il mercato ad attendersi un aumento dei prezzi. Ma il WTI si trova in una fase di resistenza tecnica, per cui ora dovrebbe fermare la sua ascesa… Il condizionale è comunque d’obbligo

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