Il fallimento dei negoziati tra la Grecia e i suoi creditori privati avrebbe gravi conseguenze per il paese ma anche per l’intera area dell’euro. La battaglia finale è ormai lanciata e Atene, da Giovedì, è impegnata in una corsa contro il tempo per la sua sopravvivenza finanziaria, finalizzata alla conclusione di un accordo con banche, fondi d’investimento, hedge fund, assicuratori, per cercare di ristrutturare il debito esistente.
Questa è la condizione preliminare imposta dalla troika, la squadra costituita dall’FMI, dalla BCE e dalla Commissione europea, per discutere del rilascio di una seconda tranche di aiuti, del valore di 130 miliardi di euro, promessi alla fine di ottobre a Bruxelles.
Dopo una brusca interruzione dei negoziati, il filo del dialogo sembrava ritrovato, tra il governo greco e l’Institute of International Finance (IIF), che rappresenta i creditori privati. L’intera Europa, nel frattempo, resta sospesa alla conclusione di un accordo senza il quale la Grecia non potrebbe rimborsare i suoi 14,4 miliardi di obbligazioni in scadenza a marzo (precisamente il 20). Il rischio, in tal caso, sarebbe un default disordinato del paese.
Le prime vittime dirette sarebbero le banche greche che detengono una quota significativa del debito sovrano del paese e non dispongono dei capitali necessari per incassare un tale shock. Inoltre, il paese accuserebbe enormi difficoltà, soprattutto in termini di accesso ai mercati finanziari: i tassi per collocare i titoli raggiungerebbero livelli proibitivi per lo stato greco, già fortemente indebitato.In caso di fallimento, la Grecia uscirà dall’Eurozona? Impossibile rispondere in questo momento perché una tale situazione, ad oggi, non si è mai presentata e i trattati europei non prevedono questo scenario. In caso di fallimento dei negoziati sulla ristrutturazione del debito Atene potrebbe però decidere di abbandonare la moneta unica per tornare alla dracma, la vecchia valuta nazionale, scommettendo sulla sua svalutazione per uscire dalla crisi.
In una nota pubblicata lo scorso settembre, Natixis stimava che la Grecia dovrebbe svalutare la propria moneta del 55% per equilibrare i conti, convertendo il debito nella nuova moneta. Secondo Natixis, il fallimento della Grecia e una svalutazione della dracma potrebbe costare circa € 166.000.000.000 alle banche e agli investitori istituzionali nella zona euro. Uno scenario che i creditori privati vogliono evitare a tutti i costi.
I negoziati in corso ad Atene, si concentrano sull’ampiezza dello sconto (haircut) volontario sulle obbligazioni attualmente detenute dalle banche: una fetta del debito, compresa tra il 50 e il 60%, verrebbe cancellata. Un ammontare che determinerà i tassi a cui accetteranno di concedere prestiti al paese in futuro (i banchieri chiedono il 5%, mentre lo Stato greco privilegia un tasso di interesse del 4%). Le banche tedesche e francesi sono in prima linea, perché detengono una quota significativa di titoli di debito emessi dallo Stato greco.
A ciò va aggiunto il pericolo di un effetto domino: numerosi investitori che hanno sottoscritto titoli di assicurazione per proteggersi da un eventuale default (CDS, credit default swap) potrebbe infatti decidere di attivarli e dunque chiedere ai loro assicuratori (di solito le banche) di rimborsarli … Un ingranaggio le cui conseguenze finanziarie sono incalcolabili.
Un default della Grecia costerebbe caro anche alla BCE: la Banca centrale europea ha massicciamente comprato titoli greci con scadenza il 20 marzo. Se non si dovesse raggiungere alcun accordo, l’istituto di Francoforte subirebbe perdite come gli altri titolari di obbligazioni greche. Italia e Spagna sarebbero le vittime collaterali: le perdite accusate dalla BCE rischierebbero seriamente di mettere in discussione il piano a lungo termine per l’acquisto di debito sovrano della BCE, di cui i due paesi sono i primi beneficiari
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