Sono due i messaggi lanciati da Mario Draghi da Bruxelles: 1) “La ripresa è fragile”; 2) “il 2010 sarà l’anno cruciale” per portare a termine le riforme di cui finora si è parlato solo sul piano politico. Non poteva essere più chiaro il presidente del Financial stability board in sede di commissione europea. Draghi ha aggiunto che ci saranno altri fallimenti di istituti bancari nel mondo ma che con nuove regole anche il fallimento di una grande banca dovrà diventare un evento sostenibile – che si può affrontare – per evitare che i “too big to fail” si adagino sulla sicurezza di un salvagente di stato.
Draghi si è anche dimostrato filo tedesco sulle sorti dei paesi deboli dell’Eurozona. La sua posizione sulla Grecia, e più in generale sui paesi inadempienti della moneta unica, si è dimostrata in linea con quella di Berlino. Impossibile non pensare al collega Axel Weber, governatore della Bundesbank, candidato insieme a Draghi alla presidenza della Bce. Per inciso Draghi ha dichiarato: “per i comportamenti devianti, anche sul piano strutturale, aumenterei non solo il costo economico delle deviazioni, ma anche il costo politico”. Su questo punto il presidente in carica della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet si era già espresso dalle colonne del settimanale francese La Point e aveva definito “assurda” l’ipotesi dell’esclusione degli stati che non raggiungono gli obiettivi europei: “Entrare nell’eurozona è una decisione capitale – ha detto. Non si tratta di un’adesione ‘à la carte’. Si tratta di condividere un destino comune con altri paesi”.
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