Le tensioni commerciali hanno il loro effetto sul mercato valutario, a prescindere dalla loro intensità, o meglio legando i cambi al loro andamento: il dollaro, con il calo delle stesse, infatti è cresciuto rispetto alle altre monete.
Basta osservare l’andamento del conio statunitense lo scorso venerdì 13 luglio: la ripresa è stata molto forte, dopo che sia la Cina che l’amministrazione americana hanno reso noto di voler far partire dei negoziati per tentare di trovare una soluzione alle tensioni. Il cambio peggiore? Quello tra dollaro americano e neozelndese, calato dello 0,60% a 0,6740: vero che allo stesso tempo anche la flessione del PMI manifatturiero di giugno dello stato australe potrebbe aver collaborato al raggiungimento di questo brutto risultato. In generale, osservando la situazione, è possibile notare come le valute considerate rifugi sicuri hanno resistito abbastanza bene: il franco svizzero è sceso solo dello 0,10%, con l’USD/CHF che ha testato il massimo risalente al 15 maggio, pari a 1,0042, mentre lo yen giapponese ha ceduto lo 0,20% e l’USD/JPY è salito a 112,78.
Tra le spinte meno forti del dollaro vi è sicuramente la pubblicazione del rapporto sull’inflazione di giugno e questo perché gli investitori temono i potenziali effetti negativi sull’inflazione di una guerra commerciale che per quanto si sia alla ricerca di una soluzione, ancora non è stata debellata. E’ importante ricordare che l’introduzione di dazi potrebbe arrecare un doppio danno: questo perché eserciterebbe pressioni rialziste sull’inflazione nel medio-lungo termine, influenzando negativamente la crescita, cosa che potrebbe spingere la Fed ad alzare i tassi in modo meno aggressivo se non a fare una pausa in questo suo percorso, favorendo sia l’euro che le altre valute.