Il web pullula di approfondimenti più o meno puntuali sulle candele giapponesi (o japanese candlestick), un metodo per cercare di prevedere l’evoluzione dei “prezzi” di strumenti finanziari (e non solo), nato in Giappone ma divenuto famoso grazie agli interventi degli anni ’90 da parte di alcuni studiosi (Steve Nison in primis), che hanno contribuito a rigenerare la popolarità – anche in Occidente – di una tecnica ampiamente sperimentata in Asia.
Con oggi avviamo pertanto una serie di approfondimenti sulle candele giapponesi, guidandovi – auspichiamo, con serietà e imparzialità! – nello studio e nell’applicazione di queste metodologie, cercando altresì di comprendere se sia possibile o meno dare una risposta positiva alla domanda che “perseguita” tutti gli aficionados del Forex: le candele giapponesi funzionano?
Iniziamo con il dire cosa siano le candele giapponesi e, soprattutto, da dove traggano la propria origine. I primi documenti scritti che parlano apertamente di tecniche riconducibili alle odierne candele giapponesi risalgono intorno al XVII secolo, con veri e propri libercoli che illustrano in che modo i giapponesi utilizzassero questa forma di analisi tecnica per poter cercare di prevedere i prezzi del riso.
Da quel momento in poi, le candele giapponesi hanno avuto una evoluzione a ritmi alterni, che le ha portate allo stato attuale. Possiamo pertanto definire le candle charts dei grafici utili per rappresentare visivamente dei dati basilari (prezzi di apertura, di chiusura, massimi e minimi), fornendo altresì informazioni nuove, soprattutto se abbinate a delle serie storiche.
Nelle prossime “puntate” di questa nostra guida, impareremo a costruire delle candle line, cioè le singole candele, e a riconoscere le varie figure, “indicatrici” di quanto potrebbe accadere sul mercato dei titoli. Come sempre, il nostro spazio commenti è a disposizione di coloro che volessero fornire il loro parere sull’argomento trattato.
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