La Reserve Bank of Australia, istituto di credito centrale del vasto paese oceaniano, ha visto crescere le proprie riserve valutarie di 863 milioni di dollari negli ultimi due mesi: si tratta di un valore da tenere in debita considerazione, visto che la media mensile che è stata registrata nel corso del secondo trimestre è stata pari a quarantanove milioni. Di solito, inoltre, questa banca centrale provvede a sterilizzare crescite simili attraverso l’acquisto di valuta locale, così da bilanciare il deflusso, ma stavolta non si è comportata in questa maniera.
Di conseguenza, le divise straniere si sono accumulate e si è scelto di rimuovere quello che in altri casi sarebbe stato una fonte di pressione per Aussie. Circa dieci giorni fa, tra l’altro, il dollaro australiano e neozelandese erano in controtendenza, a conferma dei ricavi continui di questa divisa. La Rba, la quale interviene molto di rado nel mercato monetario, non ha annunciato le riserve a cui si sta facendo riferimento, ma comunque si può dire che non si trova a proprio agio con un dollaro australiano così forte, un fattore che non fa altro che indebolire il settore minerario nazionale, molto ben sviluppato, e gli altri esportatori.
Aussie si è mantenuta al di sopra della parità rispetto al dollaro americano dallo scorso mese di giugno, nonostante a inizio ottobre sia stato ai minimi da un mese. Il crollo dei prezzi delle materie prime e il taglio dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale (1,5%) non hanno rappresentato alcuno motivo di preoccupazione. Il governatore Glenn Stevens ha menzionato spesso la forte moneta locale come un fattore chiave per il taglio dei tassi a novembre, mentre altri membri del board sperano vivamente che il dollaro australiano si indebolisca anche leggermente. Il nuovo ammontare di riserve è l’ultima arma per fronteggiare simili apprezzamenti, chissà se la missione sarà conclusa in maniera positiva.