Sempre più banche centrali e fondi sovrani stanno acquistando quantitativi crescenti di valute scandinave (vedi anche Rivista al ribasso la crescita svedese a causa della corona). Insomma, le riserve in questione sono destinate ad aumentare e il motivo è piuttosto semplice da spiegare, visto che le nazioni coinvolte puntano a diversificare gli asset e a non limitarsi esclusivamente ai dollari e agli euro. Tra gli esempi più interessanti in tal senso si possono citare la Polonia, la Russia, l’Indonesia e diversi stati dell’Asia orientale.
Il loro interesse nei confronti della corona norvegese e di quella svedese è diventato evidente, come messo in luce dal quantitativo degli ordini. Queste banche e fondi sono alla ricerca di nazioni che possano vantare rating da tripla A, un investimento più affidabile e sicuro. Finora, le istituzioni protagoniste del trend di cui si sta parlando, hanno invece limitato le loro riserve a cinque monete, vale a dire i dollari, gli euro, le sterline britanniche e i franchi svizzeri, la maggior parte delle volte sotto forma di beni del Tesoro e di debito sovrano. Una diversificazione più recente, invece, ha riguardato il dollaro australiano e il dollaro canadese: si tratta di titoli obbligazionari che hanno attratto molti investitori, ma non ci si poteva limitare soltanto a ciò.
Un mese molto importante per gli acquisti di divise della Scandinavia è stato senza dubbio febbraio, quando il ritmo degli acquisti della corona norvegese ha registrato una buona accelerazione, mentre ad aprile è stato il turno della corona svedese. Qualche numero può aiutare a capire il fenomeno. Due giorni fa a New York erano necessarie 5,8042 corone norvegesi per ottenere un dollaro, oltre quattro punti percentuali in meno per quel che riguarda le performance di quest’anno; servono, inoltre, 6,5396 corone svedesi nel cambio con la moneta verde (-0,6% nel 2013), un deprezzamento che dura da diverso tempo e che potrebbe anche continuare in futuro.