L’intervento internazionale a sostegno dello yen, moneta acquistata dai paesi del G7 dopo la riunione di giovedì sera, segna un nuovo armistizio nella currency war, o quantomeno un momento di coesione internazionale volto a alleviare i dolori del Giappone. Infatti la mossa del G7 e delle loro banche centrali è una tantum, cioè che non verrà ripetuta un’altra volta, è stata utile a diminuire le pressioni sulla valuta nipponica, spinta al rialzo – con il disappunto del governo di Tokyo e degli esportatori nazionali – più per operazioni di carry trade che per reali timori che il Giappone potesse vendere i propri asset denominati in dollari per far fronte all’emergenza. Conoscere l’ammontare della somma di yen acquistata è difficile. Alcune stime parlano di un valore di 2 trilioni, ma non ci sono dettagli né è chiara la spartizione tra le banche. Il problema maggiore è che questo intervento, per quanto utile, rimane momentaneo. Infatti l’incertezza dovuta al conflitto ingaggiato dalla “coalizione occidentale” in Libia è destinato a gettare incertezza sui mercati e ad abbattersi sui prezzi delle materie prime dell’energia. Per il Giappone non si aspettano dunque tempi tranquilli nell’immediato post-terremoto. Infatti, se da un lato gli investitori rimangono avversi al rischio e si rivolgono allo yen, una moneta rifugio come anche il franco svizzero, dall’altro lato la mancanza di approvvigionamenti da nucleare peserà ulteriormente sul bilancio energetico nipponico. Lo stato sarà infatti costretto a fare incetta di idrocarburi per poter funzionare, dopo aver già dato il via allo sfruttamento delle proprie riserve strategiche di greggio.