E’ appena iniziato il tour asiatico del presidente americano Barak Obama. Prima tappa: India. Un viaggio che eviterà la Cina e servirà a stringere accordi commerciali con economie altrettanto promettenti. Intanto in Giappone, l’alfiere economico di Obama, il ministro del Tesoro Tim Geithner, chiede una strategia multilaterale per ridurre gli squilibri globali e lo fa dal forum Asia-Pacifico (Apec) in corso a Kyoto. Si erge a ruolo di paciere nella guerra delle valute (visto che il direttore del Fmi Dominique Strauss-Kahn non è riuscito nello stesso intento poche settimane fa). Un paciere in realtà un po’ agguerrito e con degli interessi di parte da sostenere, come fa da tempo peraltro. In ogni caso mette sul tavolo del G20 (11-12 novembre prossimo) questa proposta: limitare al 4 per cento del prodotto interno lordo le eccedenze o disavanzi del pareggio dei conti tra le nazioni. La Cina ha già in prospettiva di aderire come dichiarato due settimane fa. E poi aggiunge: “Proviamo ad assicurarci che, nel momento in cui l’economia mondiale si riprende e per rendere sostenibile la crescita futura, non assistiamo alla rinascita degli squilibri commerciali, che siano eccedenze o disavanzi che potrebbero (…) minacciare la stabilità finanziaria in futuro”. E poi arriva alla guerra monetaria: “Per quanto riguarda i tassi di cambio, proviamo a costruire un quadro di cooperazione che potrebbe aiutare ad alleviare la tensione e ridurre le pressioni che vedete sui mercati mondiali”. Ma gli Stati uniti vogliono veramente collaborare? E allora perché la ha pensato bene di gettare scompiglio proprio in Asia con il nuovo QE2?