La timida ripresa segnalata dalla Bce dopo l’ultima riunione del Consiglio direttivo è tutt’altro che arrivata. L’Irlanda rischia di ricadere in recessione, anche se le autorità nazionali rifiutano tale ipotesi. Il Pil nazionale nel secondo semestre si è contratto dell’1,2 per cento, 1,8 se consideriamo il dato annuale. Dati poco rassicuranti per l’ex tigre celtica che soffre di una disoccupazione del 13,6 per cento, tra le più alte del Vecchio continente. A questo si aggiungono fondati timori degli analisti sul settore finanziario visto che non è ancora chiaro se il governo riuscirà a ripianare le perdite delle banche, in particolare del maggiore istituto la Anglo irish bank. Intanto i media sono in pressing sul governo di Dublino dal momento che a breve scadranno le garanzie di stato sugli istituti di credito che in seguito dovranno camminare sulle proprie gambe e conquistare da sé la fiducia dei mercati. Al momento gli investitori non si fidano di Dublino, tant’è che i mercati azionari sono stati fortemente condizionati dall’allargamento record degli spread tra titoli celtici e bund tedeschi, e l’incertezza pesa sul futuro. Al momento sembra improbabile l’ipotesi di default – in ogni caso gestibile da parte dell’Unione europea – e sembra fuori luogo il ricorso al fondo da 440 miliardi messo a disposizione dai governi. Piuttosto, nella peggiore delle ipotesi, interverrebbero Ue ed Fmi, com’è stato per la Grecia. Certo è che – ancora una volta – Trichet ha fatto l’indovino sbagliando di grosso o almeno così ci ha fatto credere da buon prestigiatore della Banca centrale negando nuovo allentamento quantitativo.