L’effetto crisi torna a bruciare petrolio. Solo un anno fa le quotazioni dell’oro nero erano alle stelle: l’undici luglio 2008 il barile di “light sweet” sul Nimex aveva toccato i 147, 50 dollari. Oggi il prezzo si è più che dimezzato. Ieri ha sfiorato quota 58 dollari, il minimo di giornata. La più grave crisi economica dai tempi della Seconda Guerra mondiale ha lasciato il segno anche sul barile, da settembre considerato un porto sicuro nella burrasca dei mercati azionari. Anche a Piazza Affari i titoli Etc (Exchange traded commodities) hanno registrato il “boom”: +144% degli attivi gestiti negli ultimi sei mesi e una crescita dallo zero al 16% in 2 anni della quota Etf plus” (La Stampa). La domanda di oro nero resterà ancora fiacca, prevedono gli analisti, e gli ultimi dati sull’occupazione in Europa e Stati Uniti non lasciano spazio a facili ottimismi. E secondo l’Opec ci vorranno 4 anni perché la domanda torni ai livelli del 2008.
Il rialzo di due settimane fa,che ha spinto il prezzo del greggio sopra i 70 dollari, presta il fianco a una diversa e preoccupante interpretazione: il prezzo del petrolio non è più destinato a fluttuare causa tensioni geopolitiche, ma causa speculazione spinta. La prova è l’annuncio della Commodity Futures Trading Commission, la commissione che vigila sui Futures, di nuovi paletti e controlli sui contratti soprattutto per fondi hedge e banche d’investimento. Come sottolineato anche dal ministro delle finanze italiano, Giulio Tremonti, le ingenti somme di denaro iniettate dai Governi nella pancia delle banche spingono gli istituti e gli attori finanziari verso eccessi di speculazione.