Intesa Sanpaolo si resa recentemente protagonista dell’acquisto diretto di 11 Bitcoin. Cosa potrebbe comportare questa sua decisione oltre che un ampliamento del suo portafoglio?
La mossa di Intesa Sanpaolo
L’acquisto è stato segnalato per primo dal portale Wired Italia, che ha chiesto conferma alla banca, prima di riportare il ritrovamento degli screenshot riguardanti l’operazione sul sito 4Chan.
La notizia ha creato un po’ di scompiglio all’interno del settore finanziario e non è difficile capire perché. A domanda diretta l’istituto si è prima limitato a una conferma senza ulteriori dettagli. E poi ha ribadito l’esistenza dell’acquisto attraverso le parole del suo amministratore delegato Carlo Passera.
Quest’ultimo, in un certo modo, ha tentato di smorzare quella che era diventata vera e propria frenesia degli addetti ai lavori in merito all’acquisto.
Il manager infatti sottolineato che Intesa Sanpaolo si era semplicemente comportata come qualsiasi altro istituto di credito del mondo avrebbe fatto davanti a determinate possibilità di investimento.
Tecnicamente parlando, in base all’orario in cui l’acquisto è avvenuto, come riportato dallo scambio di email, il totale dell’operazione di acquisto di 11 Bitcoin deve essere costato circa un milione di euro. Questo per via di un costo unitario contenuto tra i 93.000 gli 88.000 euro a token.
In Italia, va sottolineato, Intesa Sanpaolo è l’unica banca ad aver acquistato direttamente criptovalute. E rappresenta un caso unico non solo perché effettivamente si tratta di una prima occorrenza a livello nazionale. Ma anche perché tale acquisto è avvenuto in una situazione generale che non vede di buon occhio questo tipo di compravendita da parte degli istituti di credito.
Operazioni non viste di buon occhio
Il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, ha sempre osteggiato e sconsigliato l’acquisto di criptovalute per via della loro volatilità. E sicuramente anche per la mancanza di una regolamentazione certa in merito.
Non è una novità che l’Unione Europea sia da tempo al lavoro sul mettere a punto una regolamentazione che possa essere valida per tutti gli Stati membri.
Da un certo punto di vista sono proprio questi gli elementi fondamentali da tenere in considerazione quando si pensa a una mossa come quella intrapresa da Intesa Sanpaolo. La quale, dobbiamo ricordarlo, con molta probabilità non aveva intenzione di rendere pubblica l’operazione in questo modo.
Se non fosse stata per la pubblicazione su quel preciso portale nessuno ne avrebbe saputo nulla. Almeno fino a che l’istituto di credito non avrebbe ritenuto giusto comunicarlo.
La paura non espressa, anche dalle istituzioni che tentano di non commentare la notizia, è sicuramente quella che Intesa Sanpaolo possa essere l’apripista capace di spingere anche banche più piccole ad investimenti simili.
Mettendo a rischio in qualche modo la stabilità bancaria generale.