Euro, yuan, dollaro: è in corso la guerra dei cambi. L’Europa dovrebbe svalutare la sua moneta per uscire dalla crisi? Nell’ultimo anno, l’euro è sceso da più di $ 1,40 a poco più di $ 1,20. Contro la Cina, accusata di praticare un tasso di cambio volutamente basso, o gli stessi Stati Uniti, che approfittano di un dollaro più basso rispetto alla moneta unica, l’Europa dovrebbe procedere ad una svalutazione volontaria dell’euro?Con l’ingresso di Mario Draghi all’Eurotower, nei panni di presidente della Banca centrale europea dopo il “pensionamento” di Jean-Claude Trichet, la politica monetaria europea è molto più accomodante rispetto al passato. I tassi sono stati ulteriormente abbassati e la decisione riflette il fatto che, nonostante l’obiettivo di stabilizzare l’inflazione, l’istituto di Francoforte è disposto a fare concessioni, adottando una politica più flessibile per facilitare il recupero dell’economia europea.
Ma al di là della volontà, non è chiaro se la BCE abbia realmente la capacità e i mezzi per una svalutazione volontaria. Gli Stati Uniti, così come la Cina, probabilmente hanno una maggiore forza d’attacco per controllare le prioprie valute, e in una “guerra dei cambi”, sono molto più abili e forti.
La politica monetaria americana è sempre stata più accomodante rispetto a quella europea. Gli Stati Uniti adeguano i tassi di cambio in funzione di cosa facilita la politica e la gestione degli affari correnti. Non è certo che l’America sia disposta a vedere il dollaro apprezzarsi considerevolmente nei confronti della moneta unica.
La BCE dovrebbe dunque correggere gli obiettivi previsti dal suo stesso statuto, e che ne rappresentano la pietra angolare? La banca acentrale è molto rigida e rigorosa in materia di inflazione. Anche la Fed americana integra questo obiettivo, ma non è che un indicatore tra gli altri. Infine, la Germania non è favorevole a politiche che prevedano massicce iniezioni di liquidità nei mercati. Dunque, una riforma dello statuto della BCE, rischierebbe di porsi in contrasto con quanto attiene al suo atto e processo fondativo, e di scontrarsi con la sua stessa storia.
Quando si tratta di essere prestatore di ultima istanza, farsi garante di fondi o intervenire sui mercati, si percepisce una forte riluttanza da parte della BCE in quanto è evidente che la questione tocca le prerogative dell’istituto. L’efficacia della banca è pertanto limitata. Ma quali sarebbero i rischi di uno guerra dei cambi?
Ci sono sempre rischi connessi a questo tipo di “battaglie”. Probabilmente si tradurrebbe in una maggiore volatilità sui mercati e innescherebbe una massiccia iniezione di liquidità. Su questo punto, ci sono già state due politiche di quantitative easing negli Stati Uniti. Eppure il mercato statunitense resta fragile, il mercato del lavoro è in crisi mentre quello immobiliare fatica a riprendersi.
Servirebbe un terzo round di QE, ovvero un QE3? Questa è una domanda che ha perfettamente senso. Ma alla luce delle attuali condizioni di mercato, del generale contesto macroeconomico, non è affatto chiaro che le politiche adottate sinora dai governi e banche centrali siano state realmente buone … Non vi è alcuna garanzia che l’iniezione di denaro fresco sia una valida soluzione.
Un indebolimento del tasso di cambio dell’euro, anche se riflette in parte le preoccupazioni del mercato, potrebbe stimolare l’economia europea?
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