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Italia fuori dal tunnel del debito?

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 Rifinanziare qualcosa come 90 miliardi di euro di debito a lungo termine entro aprile sembra ormai un obiettivo a portata di mano per l’Italia, anche se il suo pesante fardello, sembrava destinato ad infettare l’intera zona euro, e ad aggravare la crisi della regione.

Nonostante la scure di Standard & Poor’s, che si è abbattuta infliggendo una raffica di downgrade ai paesi di Eurolandia, il Tesoro iberico ha saputo piazzare 6,6 miliardi di euro di titoli di Stato a medio-lungo termine (risultato nettamente superiore alle previsioni), in occasione dell’asta di giovedì. Lo stesso scenario potrebbe verificarsi anche in Italia, la terza maggiore economia della zona euro, soffocata da un debito pubblico di 1.900 miliardi di euro.

L’ammontare del debito che il Paese deve rifinanziare tra febbraio e aprile sembrava quasi ingestibile nel mese di novembre, quando la defezione degli investitori sfiduciati, costringeva Roma a pagare quasi l’8% per il rifinanziamento a tre anni. Ma da allora la situazione è migliorata.

L’Italia ha pericolosamente flirtato con un default di pagamento in chiusura del 2011, e da allora si è impegnata per riconquistare la fiducia dei mercati sotto la guida di un governo di tecnici guidato dall’ex commissario europeo Mario Monti.

Roma può contare sul sostegno della BCE, sia per le sue massicce iniezioni di liquidità che per il programma di riacquisto di bond. Quando la BCE ha lanciato la sua prima operazione di rifinanziamento a tre anni, il 21 dicembre, le banche italiane hanno recuperato 116 miliardi di euro, quasi un quarto del totale.

Nella misura in cui la BCE inietterà ulteriori liquidità nel mese di febbraio, gli investitori italiani avranno fondi sufficienti per coprire una possibile mancanza di interesse da parte di investittori stranieri, in occasione delle prossime aste. “E’ probabile che gli investitori locali continueranno a partecipare e, di fatto, sono incoraggiati a farlo, anche se solo per proteggere la loro esposizione esistente”, hanno scritto gli analisti di Citigroup la scorsa settimana. Gli investitori italiani detenevano il 54% di 1.600 miliardi di euro di debito del paese a giugno, secondo quanto indicato dalla Banca d’Italia. Gli analisti ritengono che questa percentuale potrebbe aumentare e toccare il 60%. Al fine di cogliere e centrare la domanda interna, l’Italia procederà anche con emissioni direttamente rivolte ai piccoli investitori nel primo trimestre 2012, attraverso piattaforme elettroniche.

Se gli investitori italiani sono i principali clienti del debito a breve termine, il debito a lungo termine in Italia deve trovare acquirenti all’estero. A differenza dei tassi a breve termine, i tassi di rendimento a lungo hanno registrato diminuzioni minori. A circa il 6,40%, il rendimento a 10 anni è di due punti superiore a quello a tre anni e non è lontano dal 7% che ha portato altri paesi a sollecitare un aiuto, in forma di salvataggio. E’ sui titoli a 10 anni che la battaglia di accesso al mercato rischia di essere vinta o persa: da qui la particolare importanza delle aste di BTP (titoli) di fine mese, hanno aggiunto gli analisti di Citigroup.

L’Italia deve collocare BTP a 5 e 10 anni il 30 gennaio, con data di regolamento l’1 febbraio, quando quasi 26 miliardi di euro di BTP e circa 10 miliardi di euro di coupon giungeranno a scadenza. Una volta superato il periodo febbraio-aprile, che rappresenta il 45% delle scadenze a medio e lungo termine nel 2012, all’Italia non resterà ancora molto da pagare in maggio e giugno.

Di fronte alla pressione sempre più forte dei mercati finanziari, al fine di ridurre il suo debito e sanare le sue finanze pubbliche, l’Italia, si è lanciata in un vasto piano di rigore fiscale. Ma non per bloccare la crescita, l’austerità deve essere accompagnata da un piano di riforme strutturali per stimolare e rilanciare l’economia.

Tra queste, vi è la liberalizzazione di alcuni settori chiave. Un “giuramento” fatto alla BCE come contropartita alla sua politica di acquisto di titoli di Stato italiani,  e una sommessa nei confronti delle agenzie italiane e di rating, in particolare Standard & Poor’s, che ha schiaffeggiato il Paese con un downgrade che ha portato il rating a livello BB +, con outlook negativo.

Queste previste liberalizzazioni dovrebbero passare attraverso diverse misure. Il numero chiuso dovrebbe essere aumentato per i taxi. Non saranno più i comuni a rilasciare le licenze, ma un’autorità indipendente. Per quanto rigurada le farmacie, dovrebbe sparire il limite di una farmacia ogni 3000 abitanti, cosa che consentirebbe l’apertura di 5000 nuove farmacie nel paese. Sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime per rendere libera la contrattazione tra il professionista e il cliente. Dal settore energetico,  all’assicurazione auto ed alle banche, i provvedimenti in materia di liberalizzioni insisteranno sulla tutela e promozione della concorrenza.

Ma i soggetti coinvolti sono già sul piede di guerra.  Esprimono una certa riluttanza ad affrontare ed accettare la feroce ondata di misure che riguardano molteplici settori (banche, farmacie, taxi, Eni, libere professioni…) e contro quelle che definiscono “liberalizzazioni selvagge” sono pronti a manifestare e a scendere in piazza.

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